L’autolesionismo non Suicidario
Con il termine Autolesionismo non Suicidario, trovato scritto anche come Non Suicidal Self Injury
(NSSI), vengono indicati tutti quei comportamenti intenzionali e ripetitivi che causano un danno
lieve al proprio corpo (Klosky, 2007; Nixon e Heath, 2009).
Bisogna fin da subito sottolineare che l’intento non è il suicidio ma bensì cercare sollievo da un
dolore molto più intenso, che è quello interno; come si è detto, nell’ambito considerato le lesioni
sono normalmente di modesta entità ed assimilarle a tentativi di suicidio comporta il rischio di
interventi inadeguati (Shneidman, 1993).
L’autolesionismo e il comportamento suicidario rappresentano quindi due fenomenologie distinte,
tuttavia, sussiste una grande concorrenza tra i due comportamenti in quanto la presenza di
autolesionismo aumenta la probabilità di suicidarsi. Secondo una recente ricerca la percentuale
degli adolescenti autolesionisti associati con almeno un tentativo di suicidio è il 58% (Klonsky e
May, 2010) e, in ogni caso, la prospettiva di vita soggettiva non supera i 5 anni (Joiner, 2005).
L’adolescenza e la prima età adulta sono state identificate come periodi a rischio per la comparsa di
un comportamento autolesionistico (Lloyd-Richardson et al., 2007), e generalmente l’esordio si ha
tra i 12 e i 14 anni (Jacobson e Gould, 2007). Recenti ricerche longitudinali hanno mostrato che la
maggior parte dei comportamenti autolesivi adolescenziali ha una remissione spontanea con l’arrivo
dell’età adulta (Moran et al., 2012).
Tagliarsi (cutting), bruciarsi (burning), marchiarsi a fuoco la pelle (branding), grattarsi fino a fare
uscire il sangue dalla propria pelle sono solo alcuni dei comportamenti che vengono messi in atto.
MA PERCHE’ I RAGAZZI SI FANNO DEL MALE?
Sfatiamo il mito che “chi si taglia lo fa solo per attirare l’attenzione”; è difficile che i ragazzi
mettano in atto comportamenti autolesivi in gruppo. E’ molto più probabile che lo facciano da soli
nel silenzio della loro stanza, e le ferite vengono il più delle volte coperte o camuffate.
Quindi perchè lo fanno?
Tante possono essere le motivazioni e non esiste una spiegazione univoca che le raccolga tutte.
I comportamenti autolesivi spesso sono la manifestazione di un dolore interno intenso e non
gestibile; un groviglio di emozioni negative, rabbia, vergogna, senso di colpa, disperazione,
tristezza che non si riesce a districare. La lesione e il dolore corporeo diventano in questo caso il
modo di controllare, “dare sfogo” e liberarsi da questa sofferenza intollerabile e permettono al
ragazzo di sentire un temporaneo senso di sollievo (Chapman et al., 2006; Kamphuis et al., 2007).
Altre volte il dolore fisico diventa uno strumento per sentirsi vivi; alcuni ragazzi percepiscono un
vuoto interno incolmabile, “non sentono nulla” e la lesione permette loro di sentirsi presenti e reali
(Pani e Ferrarese, 2007).
Non bisogna tuttavia sottovalutare il potente intento comunicativo sotteso a questi atti: il ragazzo
comunica all’esterno un dolore per cui non riesce a trovare le giuste parole, o ancora, cerca di
influenzare i comportamenti e gli atteggiamenti degli altri o crede di dimostrarsi forte e coraggioso
(Klonsky, 2007).
COME RICONOSCERE SE TUO FIGLIO, UN TUO AMICO O UN TUO ALUNNO AGISCE COMPORTAMENTI AUTOLESIONISTI?
Fin qui abbiamo preso in considerazione le caratteristiche dell’autolesionismo e le possibili
motivazioni sottostanti.
Ci sono alcuni indicatori che possono segnalare l’eventuale presenza di comportamenti autolesivi
ed è importante che siano conosciuti non solo dai genitori e dai famigliari, ma anche da altre figure
che ruotano attorno alla vita del ragazzo quali insegnanti, allenatori sportivi e amici.
I principali sono:
- indossare abiti a maniche lunghe anche d’estate o in ambienti molto caldi,
- macchie di sangue inspiegabili sui vestiti,
- scritte con pennarelli ed evidenziatori su braccia e polsi, che potrebbero camuffare i tagli,
- lividi e ferite inspiegabili,
- difficoltà a gestire e comunicare emozioni forti,
- lunghi periodi di isolamento,
- disegni, scritte, componimenti che riguardano temi quali il ferirsi e il dolore.
COME REAGIRE DAVANTI A UN RAGAZZO CHE SI CONFIDA?
Passiamo alla parte più complessa. Come ci si comporta nel momento in cui si viene a conoscenza
di questi comportamenti e cosa possiamo dire?
Qui di seguito proverò a indicare alcuni atteggiamenti che sarebbe meglio evitare, anche se sono
probabilmente quelli più spontanei.
- Reagire con disgusto o disapprovazione; ricordiamoci che questo è un modo scelto dal ragazzo per
alleviare uno stato di sofferenza e, forse, è l’unico trovato in quel momento. - Dire “ti prego smettila, promettimi che non lo farai più” non riesce a far raggiungere l’obiettivo;
ricordiamoci che, se fosse riuscito a trovare soluzioni alternative, l’avrebbe già fatto! - Fare il “terzo grado” cercando di scendere nei particolari, può farci ottenere l’effetto contrario
ovvero una chiusura totale.
Quindi cosa possiamo fare?
Ascoltare attentamente il racconto cercando di accogliere tutte le emozioni negative che porta è la
strategia migliore. Un adulto attento ed empatico, che non cerca solo informazioni sugli eventi ma
tenta di capire il disagio portato è sicuramente un ottimo primo supporto, che permette al ragazzo di
non sentirsi giudicato negativamente per i suoi comportamenti.
Cerchiamo inoltre di non sottovalutare la gravità della situazione; questa non può essere misurata
solo dall’entità dei gesti autolesivi.
Già il fatto che un ragazzo arrivi a farsi del male deve far scattare un campanello di allarme.
La consultazione con un esperto è la via più indicata per questo genere di problematica che potrebbe
portare a disagi molto più gravi.
Se rilevi qualche indicatore o sospetti che tuo figlio si trovi in una condizione di disagio non esitare a contattarmi,
anche solo per un colloquio informativo e conoscitivo
Dott.ssa Elena Di Blasio – Psicologa Piacenza
tel. 3286744852
Via Machiavelli 15, Piacenza
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